Le pratiche commerciali sleali tra imprese: il Libro verde della Commissione europea

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Prime proposte per contrastare gli effetti negativi di tali pratiche sleali 

 Il 31 gennaio scorso la Commissione europea ha pubblicato un Libro verde che analizza la catena delle operazioni tra imprese (o tra imprese e autorità pubbliche) che consentono la distribuzione di merci destinate al consumo o l’uso da parte dei singoli o delle famiglie. Tutti gli operatori (produttori, trasformatori, distributori) hanno un impatto sul prezzo finale pagato dal consumatore. L’attenzione da parte della Commissione al fenomeno delle pratiche commerciali sleali – di norma imposte in situazioni di squilibrio tra una parte più forte, che impone condizioni unilaterali (ad esempio attraverso clausole nettamente squilibrate) alla parte più debole, che può non essere in grado di respingere le condizioni sfavorevoli  – è motivata dall’esigenza di individuare risposte comuni a livello europeo per gli effetti negativi sia sullo sviluppo delle transazioni all’interno dell’Unione sia sui consumatori finali, che vengono danneggiati in termini di maggiori costi da sopportare. Si tratta di individuare soluzioni ulteriori rispetto ai tradizionali strumenti a tutela della concorrenza e garantire una maggiore omogeneità della legislazione dei diversi Paesi e degli organismi volti a vigilare sul suo rispetto, a partire dal settore alimentare, dove si registra una compressione dei margini dei produttori agricoli e, al tempo stesso, un aumento dei prezzi, con conseguente riduzione del potere di acquisto dei consumatori.

Le pratiche commerciali sleali possono presentarsi sia nella fase pre-contrattuale, sia nel contratto o possono essere imposte nella fase post-contrattuale (ad esempio, le modifiche contrattuali retroattive). Il documento individua sette tipologie di pratiche sleali più diffuse ed i possibili rimedi.

Clausole contrattuali ambigue. E’ la forma più comune che consente di imporre ulteriori obblighi alle parti più deboli. I contratti dovrebbero essere invece stipulati in modo chiaro e trasparente, con informazioni precise e complete sui rapporti commerciali e sanzioni proporzionate al danno subito. I contratti dovrebbero contenere clausole che fissino le circostanze e le condizioni in base alle quali autorizzare modifiche a posteriori dei costi o dei prezzi dei prodotti o dei servizi.

Mancanza di contratti scritti. Le pratiche sleali sono favorite perché le parti non dispongono di prove tangibili delle condizioni concordate.

Modifiche retroattive dei contratti. Esse possono apparire a prima vista legittime, ma possono dar luogo a condotte sleali se non concordate in modo rigoroso: si veda ad esempio le detrazioni dall’importo fatturato a copertura di spese di promozione, le riduzioni unilaterali sulla base delle quantità vendute, le commissioni per l’inserimento nel listino. I contratti dovrebbero perciò prevedere condizioni e procedure per una rapida e consapevole modifica di alcune clausole del contratto.

Trasferimento abusivo dei rischi commerciali. Rientrano in tale categoria diverse tipologie: dalla clausola che fa ricadere sul fornitore l’intera responsabilità delle merci rubate (commissioni per perdita di prodotto), al finanziamento di attività commerciali proprietarie dell’altra parte (ad esempio investire in nuovi punti vendita), agli obblighi di risarcimento per le perdite sostenute dal partner commerciale, ai termini di pagamento lunghi o, infine, all’abbinamento di servizi aggiuntivi che i distributori offrono ai fornitori dietro pagamento (ad esempio, costi di promozione e di trasporto, servizi connessi all’uso dello spazio sugli scaffali). Anche in questi casi si registra una diversità di vedute tra gli Stati membri dell’Unione. Appare coretto che ciascun operatore si assuma la responsabilità dei rischi e non trasferisca tali rischi su altre parti; inoltre le parti dovrebbero concordare modalità e condizioni del loro contributo alle attività proprietarie e/o promozionali dell’altra parte: le commissioni per servizi legittimi dovrebbero in ogni caso corrispondere al loro valore reale.

Uso “abusivo” delle informazioni. Le informazioni fornite da una parte non dovrebbero essere usate, ad esempio, per sviluppare un prodotto concorrente, perché si priverebbe la parte più debole dei frutti della sua innovazione. Si potrebbe prevedere che le informazioni fornite nel quadro del rapporto commerciale debbano essere utilizzate con correttezza e che esse non siano ingannevoli.

Risoluzione scorretta dei rapporti commerciali. La risoluzione non motivata e senza un ragionevole preavviso può costituire una forma di intimidazione dell’altra parte. I contratti dovrebbero essere conclusi nel rispetto della legge applicabile al contratto, dando allo stesso tempo un congruo preavviso alla parte a cui viene imposta la risoluzione, per darle il tempo di recuperare l’investimento.

Restrizioni territoriali alla fornitura. Alcuni fornitori multinazionali possono impedire ai distributori di approvvigionarsi all’estero per merci identiche e di distribuirle in altri Stati membri e ciò al fine di  negoziare contratti a livello nazionale per mantenere significative differenze di prezzo all’ingrosso tra i diversi Paesi. Ciò determina conseguenze negative per i consumatori, costretti a pagare prezzi più alti con una gamma più ridotta di prodotti.

 
Come sempre, daremo notizia su questo sito degli esiti della consultazione promossa dalla Commissione e delle ulteriori iniziative assunte a livello comunitario, così come analizzeremo le decisioni assunte dall’Antitrust italiana in attuazione delle norme volte a garantire la correttezza dei rapporti nella commercializzazione dei prodotti agricoli e agroalimentari (art. 62 del decreto legge n. 1 del 2012).