Su alcuni principi individuati dalla Corte Costituzionale in materia di servizi pubblici locali

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Sintesi degli aspetti più rilevanti della sentenza n. 325 del 2010 della Corte costituzionale

 

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 325 del 3 novembre 2010, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della vigente disciplina dell’affidamento dei servizi pubblici locali (art. 23 bis del decreto legge n. 112 del 2008, convertito nella legge n. 133 del 2008, come modificato dall’art. 15 del decreto legge n. 15 del 2009, convertito nella legge n. 166 del 2009), nella parte in cui prevede l’assoggettamento al patto di stabilità interno delle società “in house” con regolamento statale (previo parere della Conferenza Unificata). Infatti, l’àmbito di applicazione del patto di stabilità interno rientra nella materia “coordinamento della finanza pubblica”, di competenza legislativa concorrente, e non in materie di competenza legislativa esclusiva statale, per le quali lo Stato vanta una potestà regolamentare (art. 117, sesto comma, della Costituzione).

 

La sentenza, peraltro, ribadisce e chiarisce l’intera giurisprudenza costituzionale in materia, fornendo il quadro costituzionale complessivo della materia dei servizi pubblici locali e, in particolare, del servizio idrico integrato.

Per tali motivi, si ritiene utile sintetizzare i punti salienti della sentenza.

1. La scelta del legislatore nazionale di dettare una disciplina pro concorrenziale piú rigorosa rispetto a quanto richiesto dal diritto comunitario, non si pone in contrasto con esso, che, in quanto diretto a favorire l’assetto concorrenziale del mercato, costituisce solo un minimo inderogabile per gli Stati membri. È infatti innegabile l’esistenza di un “margine di apprezzamento” del legislatore nazionale rispetto a princípi di tutela, minimi ed indefettibili, stabiliti dall’ordinamento comunitario con riguardo ad un valore ritenuto meritevole di specifica protezione, quale la tutela della concorrenza “nel” mercato e “per” il mercato. Ne deriva, in particolare, che al legislatore italiano non è vietato adottare una disciplina che preveda regole concorrenziali – come sono quelle in tema di gara ad evidenza pubblica per l’affidamento di servizi pubblici – di applicazione piú ampia rispetto a quella richiesta dal diritto comunitario.

2. In secondo luogo, va ribadito che il servizio idrico non costituisce una delle funzioni fondamentali dell’ente locale (come già affermato con le sentenze n. 307 del 2009 e n. 272 del 2004), ma va ricondotto, invece, all’àmbito della materia, di competenza legislativa esclusiva dello Stato, della «tutela della concorrenza», tenuto conto degli aspetti strutturali e funzionali suoi propri e della sua diretta incidenza sul mercato. Di conseguenza, la competenza statale viene a prevalere sulle invocate competenze legislative regionali e regolamentari degli enti locali e, in particolare, su quella in materia di servizi pubblici locali. Sempre con riferimento allospecifico settore del servizio idrico integrato, la normativa riguardante l’individuazione di un’unica Autorità d’àmbito e la determinazione della tariffa attengono all’esercizio delle competenze legislative esclusive statali nelle materie della tutela della concorrenza e dell’ambiente. Ciò in quanto tale disciplina, finalizzata al superamento della frammentazione della gestione delle risorse idriche, consente la razionalizzazione del mercato ed è quindi diretta a garantire la concorrenzialità e l’efficienza del mercato stesso precipuo scopo di garantire la trasparenza, l’efficienza, l’efficacia e l’economicità della gestione medesima».

3. La concorrenza può essere tutelata mediante tipi diversi di interventi regolatori, quali: 1) «misure legislative di tutela in senso proprio, che hanno ad oggetto gli atti ed i comportamenti delle imprese che influiscono negativamente sull’assetto concorrenziale dei mercati» (misure antitrust); 2) misure legislative di promozione, «che mirano ad aprire un mercato o a consolidarne l’apertura, eliminando barriere all’entrata, riducendo o eliminando vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e della competizione tra imprese» (per lo piú dirette a tutelare la concorrenza “nel” mercato); 3) misure legislative che perseguono il fine di assicurare procedure concorsuali di garanzia mediante la strutturazione di tali procedure in modo da realizzare «la piú ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici» (dirette a tutelare la concorrenza “per” il mercato).

4. La possibilità, secondo l’ordinamento comunitario, di affidamenti in house anche in casi in cui detti affidamenti sono vietati dalle denunciate disposizioni nazionali non osta a che la legislazione interna disciplini piú rigorosamente, nel senso di favorire l’assetto concorrenziale di un mercato, le modalità di tale affidamento. Pertanto, il legislatore nazionale ha piena libertà di scelta tra una pluralità di discipline ugualmente legittime. Nella specie, intendendo contemperare la regola della massima tutela della concorrenza con le eccezioni derivanti dal perseguimento della speciale missione pubblica da parte dell’ente locale, il legislatore ha in effetti ponderato due diversi interessi: da un lato, quello generale alla tutela della concorrenza; dall’altro, quello specifico degli enti locali a gestire il SPL (tramite l’affidamento in house) nell’ipotesi in cui sia «efficace ed utile» il ricorso al mercato e non solo quando esso non sia possibile.

5. I servizi pubblici locali non cessano di avere «rilevanza economica» per il solo fatto che sia formulabile una previsione di inefficacia o inutilità del semplice ricorso al mercato, con riferimento agli obiettivi pubblici perseguiti dall’ente locale. La rilevanza economica sussiste pure quando, per superare le particolari difficoltà del contesto territoriale di riferimento e garantire prestazioni di qualità anche ad una platea di utenti in qualche modo svantaggiati, non sia sufficiente l’automaticità del mercato, ma sia necessario un pubblico intervento o finanziamento compensativo degli obblighi di servizio pubblico posti a carico del gestore, sempre che sia concretamente possibile creare un «mercato a monte», e cioè un mercato «in cui le imprese contrattano con le autorità pubbliche la fornitura di questi servizi» agli utenti.

6. L’ordinamento comunitario esclude che gli Stati membri, ivi compresi gli enti infrastatuali, possano soggettivamente e a loro discrezione decidere sulla sussistenza dell’interesse economico del servizio; conseguentemente, il legislatore statale si è adeguato a tale principio dell’ordinamento comunitario nel promuovere l’applicazione delle regole concorrenziali e ha escluso che gli enti infrastatuali possano soggettivamente e a loro discrezione decidere sulla sussistenza della rilevanza economica del servizio (infatti, per il diritto comunitario i servizi pubblici locali altro non sono se non quelli che esso chiama servizi di interesse economico generale).

 

5 gennaio 2011