Legge n. 9 del 14 gennaio 2013 sulla qualità e trasparenza per la filiera produttiva italiana dell'olio d'oliva

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 Sintesi delle nuove norme sulla produzione e commercializzazione degli oli di oliva vergini 

 La legge è finalizzata ad attivare maggiori controlli nei confronti di tentativi di frode e di contraffazioni, anche attraverso un forte inasprimento delle sanzioni. Sono previste disposizioni riguardanti:

– la più facile identificazione della provenienza del prodotto e delle sue caratteristiche;  in particolare, sulle etichette delle confezioni dovranno essere scritte, a caratteri ben leggibili, le caratteristiche del prodotto, i dati per la tracciabilità delle produzioni e saranno vietate le indicazioni che rimandano a zone di provenienza differenti dai reali luoghi d'origine del prodotto.  Divieto anche per le mancate informazioni e le immagini ingannevoli che potrebbero disinformare circa il luogo di provenienza effettivo delle olive utilizzate per la produzione dell'olio.  Nel caso di miscele di oli di oliva estratti in un altro Paese, la dicitura va preceduta dal termine “miscela”, stampato in maniera evidente rispetto alle altre indicazioni. Tutte queste pratiche sono considerate ingannevoli ai sensi del codice del consumo e perciò sanzionabili da parte dell’Autorità garante della concorrenza (artt. 1, 3 e 4);

– la procedura per la verifica, da parte dei comitati di assaggiatori, delle qualità organolettiche dell’olio (art. 2);

– l’utilizzo illecito di un marchio volto ad ingannare il pubblico sulla provenienza del prodotto e le relative sanzioni (artt. 5 e 6);

– le date di scadenza del prodotto: i termini non potranno essere superiori ai 18 mesi dall'imbottigliamento (art. 7);  

– i poteri dell’Antitrust anche per quanto riguarda il rispetto delle norme in materia di concorrenza (avvalendosi dell’apporto dell’Agenzia delle dogane) al fine di contrastare le intese tra imprese volte a “ostacolare, restringere o falsare in maniera consistente la concorrenza all'interno del mercato nazionale degli oli di oliva vergini attraverso la determinazione del prezzo di acquisto o di vendita del prodotto”  (art. 8);  

– i limiti alle vendite sottocosto nei supermercati, che potranno essere effettuate una volta l’anno e non dagli esercizi commerciali o gruppi che detengano una quota superiore al dieci per cento della superficie di vendita complessiva esistente nel territorio della provincia interessata (art. 11);  

– la responsabilità dei comportamenti illeciti, estesa anche agli enti della filiera degli oli vergini d’oliva laddove alcuni reati (adulterazione, contraffazione, frode etc) siano commessi nel loro interesse, con sanzioni accessorie per la contraffazione di olio Igp o Dop (artt. 12 e 13);  

– la pubblicazione della condanna sui quotidiani nazionali e il divieto per cinque anni di operare nel settore, oltre alla confisca di beni e denaro per il condannato che non possa giustificarne la provenienza, con sanzioni accessorie in caso di condanna per adulterazione o contraffazione (divieto di svolgere attività imprenditoriali e di accedere a finanziamenti pubblici italiani e comunitari) (art. 14 e 15);  

– l’obbligatorietà del fascicolo aziendale da parte di tutti i produttori di oli vergini (art. 16).

Un primo commento. La legge rappresenta sicuramente un passo avanti per quanto riguarda la lotta alla contraffazione e la tutela dei consumatori, attraverso l’integrazione delle norme vigenti, purtroppo non sempre applicate rigorosamente. Prendiamo ad esempio le indicazioni sulla provenienza delle olive ed il luogo di produzione dell’olio. La dicitura “Prodotto in Italia con olive coltivate in Italia” (o altre analoghe), anche se ampiamente generica, può limitare l’uso di importare enormi quantità di olio e di olive mischiate con piccole quantità di extravergine: i dati di import export dimostrano che l’Italia importa ed esporta più di quanto produce.

Essenziale perciò è l’effettivo funzionamento del sistema di controlli, resi obiettivamente difficili da un contesto di coltivazione e raccolta molto frazionata; in particolare, le quantità di olio prodotto sono soggette a travasi, stoccaggi, movimentazioni tra reparti di produzione imbottigliamento: occorre verificare con attenzione che l’olio sottoposto ad analisi sia effettivamente quello venduto in bottiglia con la relativa etichettatura.

Suscita perplessità la previsione, contenuta nella nuova legge, di una “scadenza” riferita al “confezionamento”, mentre dovrebbero essere 18 mesi dalla “produzione”, in quanto i difetti chimici o organolettici non riscontrati alla produzione potrebbero subentrare in seguito, per errori nella conservazione, nel trasporto, o anche semplicemente per il passare del tempo in un olio già “debole” ecc. Analogamente, è criticabile il permanere di meccanismi di registrazioni diverse e indipendenti da quelle effettuate, ad esempio, a fini fiscali, mentre sarebbe più logico e semplice (anche per i produttori) lavorare su un’unica matrice di dati. Appare preferibile un sistema di tracciamento informatico, rapido, poco impegnativo e poco falsificabile, in allineamento con i corrispondenti dati contabili e fiscali, accompagnato da un sistema di controlli effettuati su campioni ampi, che garantisca la corrispondenza con i parametri chimici di base.

Più in generale, sarebbe utile introdurre altri parametri  chimici (quantità e qualità dei polifenoli e dei tocofenoli, perossidi, che denunciano il grado di ossidazione/irrancidimento, esteri per individuare oli invecchiati e deodorati, ecc.); allo stesso modo, si potrebbe prevedere un sistema di valutazioni sensoriali volontariamente richieste dal produttore, da riportare in etichetta (ad es. fruttato, intenso piccante etc): anche se rimane il problema, sopra segnalato, dei controlli: chi  li effettua, quanto costano, cosa si controlla (la produzione giornaliera, la produzione totale per medie, la bottiglia ….)?